Elon Musk ha twittato: non accetterà più bitcoin per le sue Tesla. Il motivo? Le emissioni di CO2 associate allo strabordante uso di carbon fossile della cripto. È un tema ricorrente e spesso affrontato in maniera pregiudizievole. “I numeri ci dicono invece che i miner usano opportunisticamente energia a basso costo che altrimenti verrebbe sprecata (come quella dei salti idroelettrici cinesi). E dunque, al contrario, l’estrazione di crypto va nella direzione della sostenibilità energetica“. Ad affermarlo è Christian Miccoli, cofondatore e amministratore delegato di Conio, che di seguito spiega nel dettaglio la view.
Intorno alla mezzanotte italiana del 13 maggio Elon Musk sentenzia dal suo pulpito Twitter che “Tesla ha sospeso gli acquisti in bitcoin dei suoi veicoli”, per evitare di essere complice del grande uso “di fonti fossili, in special modo carbon fossile” di cui necessitano mining e transazioni della criptovaluta. Musk ha aggiunto che Tesla non venderà la sua dotazione di bitcoin e che sta cercando altre criptovalute che utilizzino meno dell’1% dell’energia per transazione di quella impiegata dalla regina delle cripto. Forse, il riferimento è a Doge, considerando che due giorni prima il tycoon aveva lanciato dallo stesso medium un sondaggio per testare il gradimento del suo pubblico in merito a questa possibilità.
I pregiudizi classici che aleggiano su Bitcoin
E dunque? Dunque Musk è caduto nel più classico dei pregiudizi intorno a Bitcoin, quello del consumo eccessivo – e dannoso per l’ambiente – di elettricità.
Pregiudizi culminati nel 2018 nella pubblicazione sulla rivista Nature Climate Change “Bitcoin emissions alone could push global warming above 2°C”, di uno studio, ripreso in maniera ossessiva sulla stampa internazionale, secondo cui Bitcoin sarà responsabile da solo dell’innalzamento delle temperature globali di oltre 2 gradi entro il 2033.
La verità sul consumo energetico di Bitcoin
Attenzione, non stiamo sostenendo che bitcoin non sia un’industria energivora: lo è (come altre industrie anche di settori ben più tradizionali). Stiamo sostenendo che non c’è alcuna prova che sia un consumatore di fonti fossili, anzi ci sono evidenze del contrario.
Allora, cerchiamo di fare ordine. Secondo il Cambrigde Center for Alternative Finance il consumo annualizzato di energia di bitcoin è di circa 150 terawattora: ovvero lo 0,6% della produzione globale e lo 0,69% del consumo complessivo. Più o meno una quantità simile a quella che viene usata dall’intero Egitto o dalla Polonia.
Se il consumo è relativamente facile da stimare perché dipende dall’hashrate (cioè, dalla potenza di calcolo combinata totale utilizzata per estrarre le monete), le emissioni di carbonio si possono calcolare solo se si conosce il mix delle fonti energetiche utilizzate.
Diversi studi hanno mostrato che è in aumento la quota di elettricità che si origina da fonti rinnovabili come hydro, solare ed eolico: le stime sul mix energetico tuttavia sono molto variabili (dal 20 al 70%).
Ma se anche volessimo considerare un valore mediano tra questi due estremi, dunque il 45% circa, si tratterebbe di un’incidenza pari al doppio di quella della rete energetica Usa.
Bitcoin sfrutta energia che verrebbe altrimenti sprecata o non sfruttata
Il mining di Bitcoin è estremamente competitivo e incentiva la costante ricerca dell’energia al più basso costo possibile.
Ma ancora più importante, è un’industria mobile e quindi può localizzarsi attorno alle fonti di energia più economiche del mondo.
L’energia che costa poco è tipicamente quella prodotta in eccesso che altrimenti non verrebbe sfruttata e che viene dunque sprecata o quella prodotta da fonti di energia rinnovabile, che è più economica e competitiva rispetto alla generazione di energia alimentata da combustibili fossili (Adnan Z. Amin, “How Renewable Energy Can Be Cost-Competitive” – International Renewable Energy Agency – United Nations)
I combustibili fossili possono essere facilmente trasportati permettendo la costruzione di impianti nelle immediate vicinanze dell’utilizzatore finale – cosa che spesso si rileva per le industrie di trasformazione – mentre dighe, impianti eolici e geotermici vanno costruiti dove la risorsa è presente.
Le mining farm possono essere collocate ovunque, dunque anche nei pressi di impianti geotermici, eolici o dighe.
L’affollamento nei pressi dei salti idrici cinesi
La geolocalizzazione conferma l’uso opportunistico dell’energia che fanno i miners. Nonostante la maggior parte di essi sia localizzato in Cina, infatti, dove l’elettricità è generata principalmente dal carbone, in realtà anche in quel Paesi usano prevalentemente fonti rinnovabili.
Nelle regioni di Sichuan e Yunnan ogni anno vengono sprecate enormi quantità di energia idroelettrica rinnovabile, in quanto la capacità di produzione supera di gran lunga la domanda locale e non esistono batterie che consentano di immagazzinare e trasportare quella in eccesso. Si stima che nel 2017 a fronte di 250 TWh prodotti dalle dighe dello Yunnan ne sono stati utilizzati solo 155 TWh (Darrin Magee e Thomas Hennig, “Hydropower boom in China and along Asia’s rivers outpaces regional electricity demand”- The Third Pole).
In queste aree, secondo un articolo dell’Harvard Business Review “avviene quasi il 10% dell’estrazione globale di Bitcoin nella stagione secca e del 50% nella stagione umida”. Tutte le alternative al possibile uso di questa energia bloccata sono troppo costose o tecnologicamente non supportate.
Renewable Curtailment e Bitcoin
In generale tutte le fonti di energia alternativa soffrono, inoltre, di quello che viene chiamato “Renewable Curtailment”, che si sostanzia nel fatto che l’energia prodotta viene a un certo punto rifiutata dalla rete elettrica per evitare sovraccarichi. Secondo il National Renewable Energy Lab (NREL), i rendimenti decrescono all’aumentare della quantità di energia alternativa prodotta.
Le soluzioni solitamente proposte per ridurre la produzione in eccesso di energia rinnovabile per mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta e quindi evitare prezzi negativi dell’elettricità consistono nello spostamento della domanda, per esempio spingendo il comportamento dei clienti, costruendo cavi di trasmissione a lungo raggio e ottimizzando lo stoccaggio di energia. Questa seconda opzione tuttavia è molto costosa ed è spesso un incubo burocratico, mentre l’accumulo è ancora estremamente costoso e inefficiente.
Bitcoin può essere la soluzione al problema (Shan, Rui e Sun, Yaojin, “Bitcoin Mining to Reduce the Renewable Curtailment: A Case Study of CAISO” – SSRN) i minatori possono fornire una domanda coerente e affidabile poiché le loro reti di estrazione funzionano 24/7 senza tempi di inattività. Fornire energia ai minatori o diventarlo loro stessi, potrebbe aiutare i fornitori di rinnovabili ad avere imprese più economicamente sostenibili.
Bitcoin aiuta l’efficientamento dell’industria energetica (e la decarbonizzazione)
Insomma, il mining di Bitcoin può consentire di evitare gli sprechi di energia e svolgere un ruolo inestimabile come elemento costitutivo di un futuro decarbonizzato. Rappresenta, di fatto, un’opportunità incredibile per aumentare la quota di energia rinnovabile nelle nostre reti elettriche.
Lo stesso mondo crypto mira alla transizione green al 100%, con il Crypto Climate Accord ispirato all’Accordo di Parigi sul clima.
Allora la domanda giusta non è se “Bitcoin valga il suo impatto ambientale” (molto meno allarmante di quanto ancora oggi si creda) ma piuttosto: il valore che Bitcoin rappresenta, vale il consumo di risorse che richiede? È una domanda che, a ben vedere, vale per ogni attività produttiva e creativa di valore. Nel caso in oggetto, per quello che Bitcoin rappresenta, la risposta è senza dubbio sì.