La cosiddetta Proof of Stake (PoS) è un algoritmo di consenso che vuole essere più veloce ed economico rispetto alla Proof-of-Work (PoW).
La prima criptovaluta mai creata al mondo, Bitcoin, è stata creata utilizzando PoW come algoritmo di consenso, ed ancora oggi lo utilizza. Anzi, tutte le blockchain di prima generazione, come ad esempio Litecoin, la utilizzano, ed anche per Ethereum nel 2015, quando fu creata, fu scelta la PoW perché garantisce elevati livelli di sicurezza.
Tuttavia se da un lato PoW offre un elevato livello di sicurezza, dall’altro ha un paio di grossi limiti: la quantità di transazioni che è in grado di convalidare, ed i costi energetici.
Il primo limite ad esempio fa sì che per Bitcoin si riescano a convalidare on-chain solamente circa 3.000 transazioni ogni 10 minuti, ovvero solamente una piccola frazione di quante ne vengano convalidate ad esempio da Visa.
Questo limite riguarda tutte le blockchain che utilizzano PoW, rendendole non scalabili se non utilizzando soluzioni di secondo livello, come Lightning Network, che non convalidano le transazioni on-chain.
L’altro problema è legato al consumo energetico del lavoro (work) richiesto alle macchine adibite alla convalida delle transazioni. Tuttavia questo è un problema che, a livello economico, riguarda solo i miner, mentre per quel che concerne l’impatto ambientale, invece, tocca tutti.
La Proof-of-Stake di fatto non ha questi limiti.
Come funziona la Proof of Stake
O, meglio, per quanto riguarda il volume di transazioni convalidabili, questo è enormemente superiore a quello della PoW. Ormai esistono diverse blockchain di seconda e terza generazione che utilizzano PoS, e non sembra che soffrano di problemi di scalabilità.
Per quanto riguarda i consumi energetici invece il vantaggio è enorme, visto che la Proof-of-Stake richiede un consumo minimo di energia elettrica.
Infatti al posto che utilizzare lavoro di macchine di calcolo, per convalidare le transazioni utilizza dei nodi che hanno in deposito quantità significative di token. Visto che quei token hanno un valore solo se tutto funziona correttamente, i loro possessori hanno tutto l’interesse a convalidare le transazioni in modo corretto. Ad oggi infatti non sono noti grandi problemi da questo punto di vista legati alla PoS.
Il progetto Ethereum nasce per l’appunto con PoW, e fino ad oggi ha mantenuto questo algoritmo di consenso. Tuttavia le due limitazioni di cui sopra fanno sì che i costi di commissioni che sia necessario pagare ai miner per potersi far convalidare una transazione sono ormai elevati, ma con il passaggio alla Proof-of-Stake ci si attende una netta riduzione del costo del gas, ed un grosso passo in avanti per una maggiore scalabilità.
In realtà la blockchain parallela di Ethereum basata su PoS, Beacon Chain, è già attiva, ma ancora solamente in fase di test. Non si sa quando verrà integrata nella mainnet, ma è possibile che entro fine 2021 questi test finiscano, e si possano programmare le date per il rilascio.
Quando sarà definitivamente lanciata Ethereum 2.0, basata su Proof-of-Stake, per il progetto si tratterà di una specie di salto quantico, che consentirà di supportare un numero di transazioni molto più elevato di quello attuale, e probabilmente paragonabile a quello di reti come Visa, al tempo stesso riducendo di molto i costi di commissione. Sarà una vera e propria rivoluzione di fondo, i cui effetti potrebbero giovare molto al processo di adozione di massa di Ethereum.
L’importante sarà che nulla vada storto, e che tutto funzioni così come sta funzionando ora. In teoria ciò è assolutamente possibile, ma non c’è da stupirsi che gli sviluppatori ci stiano andando con i piedi di piombo prendendosi tutto il tempo necessario per fare le cose bene. Ethereum ormai vale centinaia di miliardi di dollari, e non avrebbe alcun senso rischiare di mandare tutto in fumo.
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