Inflazione, ecco la view di Fineco AM

È giusto dire che gli operatori di mercato, i gestori di fondi e i trader sono diventati in qualche modo indifferenti all’inflazione negli ultimi tempi. Ciò non stupisce se si considera che, negli ultimi dieci anni, i continui avvertimenti sull’inflazione non si sono mai concretizzati. Si può “gridare al lupo” solo un certo numero di volte e l’inflazione stessa ha faticato a raggiungere gli obiettivi autoimposti dalla BCE, dalla Federal Reserve e dalla Banca del Giappone. Al contrario, la principale preoccupazione dei policy maker è stata quella di evitare la minaccia della deflazione, ovvero il contraltare più insidioso dell’inflazione.

La storia del mercato è ricca di false partenze per quanto riguarda l’inflazione

La crisi finanziaria del 2009 e tutte le misure straordinarie associate delle banche centrali non sono riuscite a generarla. Il Quantitative Easing (l’acquisto di obbligazioni – che molti temevano fosse una monetizzazione del debito) è in piedi da un decennio eppure ha prodotto a malapena un barlume di inflazione. Un ex presidente della Fed, Ben Bernanke, ha persino ventilato l’idea dell’”helicopter money” come una sorta di ultima risorsa per produrre un qualche impulso inflazionistico, ma senza risultati. È giusto dire che chi aveva scommesso sull’inflazione ha dovuto cambiare idea molto tempo fa.

Ciò rende il panorama attuale interessante

I fautori dell’inflazione hanno perso la loro credibilità in un momento in cui sicuramente le cose potrebbero essere diverse. Il vecchio cavallo di battaglia degli scettici dell’inflazione, la “globalizzazione”, non è più l’argomento di riferimento che è stato nei decenni precedenti. Piuttosto, alcuni dei fattori deflazionistici della globalizzazione hanno parzialmente mutato direzione. Come hanno sottolineato Goodhart & Pradhan nel loro documento BIS del 2017: “La demografia invertirà tre tendenze globali pluridecennali”.  In ogni caso, quelle forze globali di disinflazione stavano già subdolamente iniziando a invertirsi a quel tempo.

Anche prima dell’inizio della pandemia, i banchieri centrali avevano spostato l’obiettivo, mirando all’inflazione media nel tempo, nel tentativo di permettere all’economia di funzionare meglio e sopportare un po’ di aumento dei prezzi per alcuni momenti di tempo limitati.

In aggiunta a questo contesto fluido, molti nuovi fattori sono emersi in reazione alla pandemia. Fra questi più quantitative easing, l’abbassamento degli standard di credito che ha incoraggiato i prestiti, una vasta espansione fiscale e un movimento verso un maggiore protezionismo. Anche se lo scopo di tutto ciò era quello di compensare la domanda che si è persa, è difficile pensare di gestire perfettamente tale bilanciamento. Tutta questa espansione ha un impatto su un bacino di risorse limitato e questo può avere delle conseguenze. E abbiamo iniziato a vedere storie di alto profilo come la carenza di semiconduttori. Da qualche parte bisogna cedere.

E naturalmente, essendo le fasi di inflazione qualcosa di generazionale, non sorprende che l’attuale aura di compiacenza coincida con una generazione di investitori sui mercati che l’inflazione non l’ha mai vissuta. Di fronte a qualsiasi evento di inflazione che possa risultare problematico, le banche centrali tornerebbero immediatamente al vecchio modello, con politiche monetarie che si irrigidirebbero e le promesse di un livello più basso dei tassi per sempre che svanirebbero.

I Governi di fronte all’enorme quantità di debito post pandemia possono essere relativamente tranquilli di fronte all’idea di un po’ di inflazione moderata, in quanto questa ha sempre rappresentato la soluzione storica per alleviare e risolvere i problemi di debito.

Possiamo vedere come attualmente vengono emesse poche obbligazioni legate all’inflazione rispetto al totale delle emissioni. In Europa, la quantità di emissioni di obbligazioni indicizzate in un mare di emissioni convenzionali è ormai minuscola. Perché? Perché i governi comprensibilmente non vogliono cristallizzare il peso del debito emettendo più obbligazioni che proteggono dall’inflazione. Le obbligazioni indicizzate offrono non solo alcune delle caratteristiche “risk off” delle obbligazioni convenzionali in tempi di crisi, ma proteggono anche l’investitore dal rischio di inflazione. Questo le rende ancora più attraenti in un’epoca in cui l’unica vera minaccia “al carrello della spesa” e all’attuale politica espansiva della BCE e della Fed è l’inflazione stessa.

Quindi, con l’attuale politica accomodante così difficile da invertire e uno stimolo eccessivo che rischia di mettere sotto pressione un bacino di risorse limitato, gli asset reali dovrebbero fornire un’utile protezione aggiuntiva.  L’inflazione è stata finora sfuggente, ma indici come il CPI statunitense (Indice dei prezzi al consumo, in forte crescita ad aprile) e i corrispondenti europei sono in aumento, anche se molti evidenziamo come questi effetti siano solo a breve termine. Ci aspettiamo che gli investitori, a fronte di questi possibili rischi, potranno chiedere maggiore protezione. La chiave, come sempre, è la diversificazione. Che si tratti di immobili, materie prime, obbligazioni legate all’inflazione, la combinazione di queste attività offre un portafoglio più robusto per le sfide future.