Investimenti, ecco quanto potranno crescere i tassi in scia al boom Usa

“La possibilità di un boom economico durante l’anno ha alimentato timori in merito a un aumento dell’inflazione e ha decretato una decisa ondata di vendite nei Treasury USA. A che ritmo l’economia statunitense crescerà nel 2021? Dipenderà dagli stimoli“. L’avvertimento arriva da Darrell Spence, economista di Capital Group, che di seguito dettaglia la propria view e il proprio outlook per i mesi a venire.

Il pacchetto di agevolazioni anti-pandemia pari a 1.900 miliardi di dollari, con oltre 400 miliardi direttamente stanziati per i consumatori, dovrebbe fornire un massiccio slancio alla crescita. Grazie a una tale quantità di denaro immessa contemporaneamente nell’economia, si prevede un’eccezionale crescita del prodotto interno lordo. Esistono poi fondi non utilizzati di precedenti pacchetti di aiuti e, in base all’attuale ritmo di vaccinazione, intorno alla seconda metà di agosto sarà vaccinata tutta la popolazione di età superiore ai 16 anni. Nel frattempo, l’economia dovrebbe ulteriormente riaprire. Infine, la Fed ha previsto che l’inflazione a breve termine sarà transitoria confermando il suo atteggiamento accomodante.

Tutto questo dovrebbe decretare un tasso di crescita intorno al 10% per uno o due trimestri nel 2021 e, anche qualora i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento e la debolezza nel mercato del lavoro dovessero ostacolare tale sviluppo, la crescita dovrebbe comunque risultare di poco inferiore.

In linea con il consensus, riteniamo che l’inflazione aumenterà quest’anno, ma solo per un periodo di tempo limitato. L’indice dei prezzi al consumo potrebbe arrivare al 2,5%. Probabilmente questi fenomeni si esauriranno entro la fine dell’anno, dopodiché l’inflazione dovrebbe tornare a un tasso tendenziale a lungo termine. Non prevediamo quindi un’impennata, ma potrebbe rimanere un po’ elevata nel lungo termine, in particolare se verrà offerto ulteriore supporto fiscale attraverso il massiccio piano infrastrutturale proposto. Il mercato sta già scontando questa possibilità, da qui l’elevato livello dei TIPS (titoli di Stato protetti dall’inflazione), che misurano le aspettative di inflazione, ma servirebbe una vera e propria impennata per modificare notevolmente le aspettative. La stima sull’inflazione al 2,6% scontata dal mercato non preoccupa la Fed.

Con i Treasury a 10 anni che rendono quasi l’1,75%, i tassi d’interesse nel tratto a lungo della curva sono tornati ai livelli pre-pandemici, periodo in cui la crescita e l’inflazione USA si attestavano intorno al 2%. Si trattava di un’economia di fine ciclo, per molti aspetti in esaurimento. Oggi il contesto economico è drasticamente diverso, pertanto, per noi, è ovvio che i tassi d’interesse salgano, anche se gran parte della rivalutazione è già avvenuta. I tassi a lungo termine potrebbero salire di circa 50 punti base, ma sarà difficile che aumentino troppo e in maniera eccessivamente rapida, e questo per varie ragioni. In primo luogo, c’è la Fed che, mantenendo i tassi di interesse overnight prossimi allo 0% per vari anni, impedisce alla curva di alzarsi notevolmente, in particolare nel tratto a breve (meno di sette anni). In secondo luogo, questo effetto è amplificato dall’acquisto da parte della Fed di ben oltre 1.000 miliardi di dollari in titoli all’anno. Infine, bisogna considerare i tassi d’interesse globali, poiché gli Stati Uniti presentano una prospettiva di crescita e inflazione estremamente positiva, ma altri Paesi sono ancora alle prese con gli effetti del COVID-19. Dati i tassi d’interesse ancora bassi e persino negativi in molte parti del mondo, gli Stati Uniti dovrebbero continuare ad attrarre capitali internazionali, il che peserà sui loro tassi.

Il nostro scenario di base prevede che la Fed inizierà ad aumentare i tassi all’inizio del 2023 a un ritmo di 25 punti base al trimestre, ossia lo stesso dell’ultimo ciclo di aumenti. La Fed ha indicato che ridurrà gli acquisti di asset prima di effettuare qualsiasi aumento dei tassi, il che implica un tapering alla fine del 2022 o all’inizio del 2023, ossia fra circa due anni.

L’aumento dei tassi migliora la capacità dei fondi obbligazionari di diversificare il rischio azionario e fornire protezione dal ribasso qualora avvenga un’altra correzione. Sebbene le valutazioni degli asset siano elevate, molti segnali indicano che i mercati sono più fragili di quanto sembrino. Sicuramente l’ingente liquidità fornita dalle banche centrali ha alimentato una massiccia speculazione, pertanto gli investitori devono evitare gli eccessi, ed è per questo che mantenere un’allocazione obbligazionaria di alta qualità è tanto importante oggi come lo era nel 2020. Qualora la ripresa sia minacciata da un altro shock, i tassi di interesse potrebbero scendere notevolmente, con conseguente aumento dei prezzi delle obbligazioni. In tale situazione, l’allocazione obbligazionaria può garantire stabilità, conservazione del capitale e liquidità per proteggere i portafogli, proprio come ha fatto durante lo shock indotto dal COVID-19 nel 2020.