Mercati: come i cambiamenti nella politica Usa stanno ridefinendo le regole per le imprese europee e italiane

A cura di Christian Iannaccone, Partner, Head of Italy – US strategy DLA Piper

Il corridoio economico transatlantico, storicamente uno dei più stabili e redditizi per il commercio globale, sta subendo una profonda trasformazione. Il secondo governo Trump ha introdotto cambiamenti radicali nella politica commerciale e di investimento degli Stati Uniti, ridefinendo il panorama normativo per le imprese straniere che operano negli Stati Uniti. Per le società europee e italiane, questi inattesi sviluppi geopolitici rappresentano un punto di svolta strategico che richiede particolare attenzione.

Un nuovo paradigma commerciale: dazi e accesso al mercato

Al centro dell’approccio strategico dell’amministrazione Trump c’è una ridefinizione del perimetro del sistema dell’applicazione dei dazi doganali. Il quadro commerciale attuale tra Stati Uniti e Unione Europea, come da ultimo recentemente definitosi, vede l’imposizione di un dazio massimo del 15% sulla maggior parte delle esportazioni europee, compresi settori critici come quello automobilistico, farmaceutico e dei semiconduttori, in aumento rispetto alla media del 4,8% antecedente all’aprile 2025. Sebbene questa aliquota sia inferiore al 30% inizialmente previsto, segna comunque un significativo allontanamento da decenni di liberalizzazioni. L’acciaio e l’alluminio rimangono soggetti a dazi elevati del 50%, evidenziando l’intenzione americana di proteggere le proprie industrie strategiche.

Per gli esportatori italiani, le implicazioni sono evidenti. Settori come quello dei componenti automobilistici, dei macchinari e dei beni di lusso devono affrontare costi di trasporto più elevati, che erodono la competitività a meno che non vengano mitigati attraverso strategie di prezzo o la ristrutturazione della catena di approvvigionamento. In alcuni casi, l’impatto è esistenziale: le recenti misure antidumping hanno portato i dazi sulla pasta italiana al 107%, escludendo di fatto i marchi iconici dal mercato statunitense.

Sicurezza degli investimenti: l’ascesa del CFIUS e dei controlli sulle esportazioni

Oltre ai dazi, l’amministrazione ha elevato la sicurezza nazionale a principio guida della politica economica. L’America First Investment Policy, emanata nel febbraio 2025, amplia la giurisdizione del Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) e introduce l’Outbound Investment Security Program (OISP). Queste misure rafforzano il controllo sugli investimenti in entrata provenienti da “foreign adversaries”, incentivando al contempo i flussi di capitale provenienti dai paesi alleati attraverso processi di revisione accelerati.

Per gli investitori europei e italiani, questo regime a doppio binario offre sia opportunità che rischi. Mentre gli investimenti passivi e i progetti greenfield provenienti da giurisdizioni alleate possono beneficiare di procedure semplificate, qualsiasi transazione che coinvolga tecnologie sensibili, come l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica o la produzione avanzata, comporterà maggiori obblighi di conformità. Inoltre, le restrizioni agli investimenti in uscita per i cittadini statunitensi potrebbero influenzare indirettamente le joint venture e le partnership tecnologiche, complicando le strategie di innovazione transfrontaliere.

Fattori strategici: sicurezza, reshoring e leva geopolitica

Le politiche attuate dall’amministrazione Trump non sono misure economiche isolate, ma strumenti di un programma geopolitico più ampio. Abbinando l’aumento dei dazi doganali al controllo degli investimenti, gli USA cercano di ridurre la dipendenza dall’estero, garantire le catene di approvvigionamento interne e affermare la leadership tecnologica. Questo approccio riflette un crescente consenso sul fatto che la sicurezza economica è sicurezza nazionale, una dottrina ora codificata nei quadri normativi statunitensi.

Per le imprese europee, in particolare quelle italiane fortemente orientate all’esportazione, questi cambiamenti richiedono una rivalutazione dei modelli operativi. Le strategie di localizzazione, come la creazione di filiali di produzione o distribuzione con sede negli Stati Uniti, stanno guadagnando terreno come copertura contro l’esposizione ai dazi e il rischio normativo. Tuttavia, tali mosse comportano complesse considerazioni in materia di fiscalità, prezzi di trasferimento e conformità che devono essere valutate in modo olistico.

Implicazioni per le società italiane: rischi e risposte

Le società italiane devono affrontare una doppia sfida: l’inflazione dei costi dovuta ai dazi e l’incertezza normativa nella selezione degli investimenti. I settori di alto valore, come la moda, l’automotive e l’alimentare, sono particolarmente vulnerabili. L’impatto previsto sul PIL italiano, secondo gli attuali scenari tariffari, è stimato a -1,2% in due anni, con effetti a cascata sulle catene di approvvigionamento e sui mercati dei capitali.

Per affrontare questo contesto, le società dovrebbero dare priorità a:

  • Conformità proattiva alle normative commerciali e di investimento degli Stati Uniti, comprese le dichiarazioni CFIUS, ove applicabile.
  • Pianificazione di scenari per contingenze tariffarie, incorporando strategie di prezzo e approvvigionamento alternativo.
  • Valutazioni di localizzazione, soppesando i vantaggi della produzione negli Stati Uniti rispetto alle complessità fiscali e operative.
  • Coinvolgimento delle istituzioni attraverso le associazioni di settore per influenzare i negoziati in corso e mitigare le misure sfavorevoli.

Guardando al futuro: l’adattamento come imperativo strategico

Le relazioni transatlantiche rimangono il partenariato economico più significativo al mondo ma le ipotesi operative sono cambiate. Per le società europee e italiane, il successo in questa nuova era dipenderà dall’agilità, dalla lungimiranza normativa e dagli investimenti strategici nella resilienza. Le aziende che non riusciranno ad adattarsi rischiano di perdere quote di mercato e rilevanza strategica nell’economia statunitense.

Il messaggio è chiaro: l’adattamento non è facoltativo, ma è il prezzo da pagare per continuare ad avere rilevanza nel mercato statunitense. Chi anticipa le tendenze normative, diversifica le catene di approvvigionamento e abbraccia la presenza locale non solo sopravviverà ma prospererà in un panorama in cui commercio e sicurezza sono inseparabili.