La visione di Carmine De Franco, head of Quant Equity di BNP Paribas AM
Calabrese d’origine e parigino d’adozione, Carmine De Franco (nella foto), head of Quant Equity di BNP Paribas Asset Management, ha costruito la sua carriera nella capitale francese, dove vive da vent’anni e dove ha completato una formazione accademica di alto livello, culminata in un dottorato in Probabilità e Finanza. Conversando con Bluerating.com, il manager racconta la sua view di come la gestione dei portafogli si sia trasformata radicalmente negli ultimi decenni passando da un modello tradizionale basato su intuizioni ed esperienza a un approccio quantitativo e sistematico basato su dati, algoritmi e modelli predittivi.
«Rispetto a quando ho iniziato la carriera – racconta De Franco – il nostro settore è cambiato radicalmente. La gestione tradizionale, basata su intuizioni ed esperienza personale, ha perso terreno. Oggi la vera forza competitiva sta nei dati, nella capacità di leggerli e integrarli in un processo rigoroso».
Secondo De Franco, la trasformazione non è stata improvvisa, ma il risultato di una serie di spinte convergenti. Anzitutto l’accesso all’informazione: «Fino a qualche decennio fa un gestore aveva un vantaggio informativo enorme. Oggi chiunque, dal salotto di casa, può accedere a dati, news, analisi. Aspettarsi che un fund manager individui ogni anno, prima degli altri, quale sarà la prossima Google diventa sempre più complicato». L’industria, dice De Franco, ha preso atto della realtà: i mercati azionari si muovono secondo poche forze strutturali, e gli stili di gestione multifattoriale permettono di catturarle con regolarità.
È qui che la gestione quantitativa trova la sua ragion d’essere. «Il gestore tradizionale lavora su un numero limitato di idee», spiega. «Compra inevitabilmente un numero limitato di titoli con forte convinzione, dopo analisi approfondite. Ma mantenere questa capacità di selezione in modo ripetibile nel tempo è difficilissimo. Inoltre, il rischio emotivo è sempre dietro l’angolo: è umano innamorarsi delle proprie scelte e faticare nel cambiarle». La gestione sistematica, invece, opera diversamente: osserva l’intero universo investibile, misura le società su più dimensioni e combina centinaia di piccole decisioni coerenti con i fattori che generano performance nel lungo periodo.
I pilastri di questo approccio sono quattro: Value, Quality Momentum e Low Risk. Il fattore Value porta all’individuazione di azioni sottovalutate rispetto ai loro fondamentali, con l’obiettivo di acquistare aziende solide a un prezzo scontato. Il fattore Quality si concentra invece su aziende finanziariamente solide, con profitti elevati, flussi di cassa prevedibili e un basso indebitamento, cioè società che hanno maggiori probabilità di resistere a periodi economici difficili. Poi c’è il fattore Momentum che porta a trarre profitto dai trend di mercato.
La gestione del rischio è l’altro fattore che entra in gioco ed è la grande leva della sistematicità. «Non basiamo i nostri portafogli su scenari macroeconomici predittivi», dice il manager. «Prevedere l’evoluzione dei tassi, dei cicli o dell’inflazione in modo ripetibile è difficile, soprattutto in fasi incerte come questa. Preferiamo costruire portafogli che siano in grado di attraversare diversi contesti macro senza sbilanciarsi troppo». Una scelta che riflette una filosofia di fondo: privilegiare la robustezza rispetto alla capacità di anticipare il futuro.
Tutti questi fattori sono noti agli studiosi e spesso utilizzati anche nella gestione attiva tradizionale. La differenza sta nel come vengono assemblati. De Franco usa una metafora efficace: «Viaggiare con un aereo a quattro motori è più sicuro che viaggiare con uno solo. Se un fattore attraversa una fase di debolezza, gli altri permettono al portafoglio di restare in equilibrio». La decorrelazione diventa quindi un elemento cruciale: capire come i fattori si comportano in modo indipendente è il punto di partenza per costruire portafogli più stabili e meno esposti ai cicli di mercato.
E poi c’è il tema più caldo del momento: l’intelligenza artificiale. De Franco preferisce guardarla con un approccio equilibrato. «Non credo che l’IA stia rivoluzionando la costruzione dei portafogli ma manifesterà i propri effetti principalmente in altri ambiti del nostro settore, snellendo per esempio i processi e le procedure aziendali», osserva. «Le tecnologie che abbiamo oggi sono già molto avanzate per misurare rischi e ottimizzare pesi. Il campo in cui l’IA è davvero un game changer è la capacità di estrarre segnali da nuove fonti di dati». Parliamo di sentiment proveniente dalle news, blog e social network; di altre fonti informativa come le immagini satellitari o il traffico online. «Sono informazioni preziose che il mercato genera ogni giorno ma che fino a pochi anni fa erano ingestibili. Le tecniche di machine learning ci permettono di trasformarle in segnali operativi. È lì che si giocherà la sfida dei prossimi anni: accesso ai dataset giusti e capacità di interpretarli».
De Franco analizza anche l’ascesa degli Etf, uno dei segmenti più dinamici dell’industria globale dell’asset management. BNP Paribas AM ha da poco lanciato una gamma di Etf attivi basati proprio sulle strategie multifattoriali sviluppate dal team di De Franco. «È un’evoluzione naturale», spiega. «La piattaforma Etf di Bnp Paribas ha una storia lunga e solida, e l’integrazione con l’expertise quantitativa ci permette di offrire prodotti che combinano la regolarità della gestione sistematica con la trasparenza, la liquidità e i costi contenuti del formato degli exchange traded fund».
La distinzione rispetto ai fondi comuni tradizionali rimane chiara: nei fondi attivi la libertà rispetto al benchmark è maggiore, mentre l’Etf attivo è pensato per generare alpha, una sovraperformance rispetto al mercato ma con un tracking error molto controllato. Due strumenti diversi, complementari, che rispondono a esigenze differenti degli investitori.
