Il termine staking nell’ambito delle criptovalute si utilizza con due significati simili, ma leggermente differenti.
Proof of Stake vs Proof of Work
Il termine deriva dalla cosiddetta Poof of Stake (PoS), ovvero un algoritmo di consenso alternativo alla Proof of Work utilizzata attualmente da Bitcoin ed Ethereum.
Anzi, proprio Ethereum ha in programma di passare da PoW a PoS con la versione 2.0.
La PoS consente di poter registrare le transazioni su blockchain in modo molto più economico, visto che non prevede attività di mining.
Il consenso deriva dal fatto che a validare le transazione sono nodi che hanno messo in stake una certa quantità di token.
In questo modo, se la quantità di token è significativa, gli addetti hanno tutto l’interesse a validare solamente le transazioni corrette.
Nella PoW invece è richiesto un gran consumo di energia elettrica per svolgere il lavoro di ricerca dell’hash che convalida i blocchi e può essere effettuato da chiunque, anche senza possedere alcun token.
Questo consumo genera costi che i miner devono per forza coprire con gli incassi della loro attività di convalida dei blocchi, preferendo quindi aggiungere a questi le transazioni con fee più elevate.
Nei momenti di congestione della rete questo fa sì che le fee necessarie a farsi convalidare una transazione in breve tempo possano essere anche molto elevate.
Invece, la PoS ha consumi energetici decisamente contenuti, quindi i validatori non hanno bisogno di avere incassi molto elevati per coprire costi molto elevati.
Nonostante ciò incassano comunque le fee, anche se di importi inferiori, di fatto quindi guadagnando.
Pertanto mettere in staking i propri token per poter convalidare le transazioni genera comunque dei guadagni, che sono variabili a seconda di diversi fattori.
Per questo motivo molti possessori di criptovalute basate su PoS mettono in staking i loro fondi. Da un lato i token messi in staking in questo modo non possono essere utilizzati, inviati o spesi, fino a che non li si rimuove dallo stake, ma al tempo stesso generano dei ritorni economici nella forma di una percentuale delle fee pagate dagli utenti.
Due diversi modi per fare staking con le criptovalute
Tuttavia esistono due modi di mettere i propri token in staking su nodi validatori di una criptovaluta basata su PoS.
Il primo è molto semplice ed è quello di utilizzare appositi servizi che consentono molto semplicemente di inviare i propri token all’indirizzo del nodo, offrendo in cambio un rendimento.
Molti exchange offrono questa soluzione ed è sufficiente cercare tra i vari servizi degli exchange se c’è anche quello dello staking (a volte chiamato anche “earning”, o similari).
Pur non essendo una soluzione decentralizzata e non custodian, è ottima per fare le prime operazioni di questo tipo.
Ovviamente è possibile mettere in staking solo le criptovalute basate su PoS (ad esempio bitcoin no).
Il secondo modo è quello di installarsi e configurarsi un nodo validatore su cui mettere in staking i propri token. È decisamente molto più difficile da fare, però è decentralizzato e soprattutto non custodian.
In molti casi per fare una cosa del genere sono richieste cifre ingenti da mettere in staking, ma anche i guadagni sono superiori.
I guadagni derivanti dallo staking che sfrutta la PoS dipendono non solo dalla quantità di token che si mettono in staking, ma anche da quanti ne sono stati messi in staking complessivamente dagli altri utenti, e da quante fee vengono pagate. Di fatti gli utenti si spartiscono le fee in proporzione a quanti token hanno messo in staking.
L’altro significato del termine staking
Tuttavia nel corso del tempo si è diffuso anche un altro significato del termine “staking” in ambito crypto.
Infatti, il termine deriva dal verbo inglese “to stake”, che significa “puntare”. Esistono alcuni servizi che consentono di “puntare” i propri token in cambio di un rendimento. Spesso i guadagni che si ottengono in questo modo derivano dal fatto che questi token messi in staking vengono ad esempio prestati ad altri utenti in cambio di un interesse.
Dal punto di vista strettamente tecnico questo secondo significato di staking dovrebbe essere considerato improprio, ma ormai il suo utilizzo si è talmente diffuso che viene usato abitualmente.
Il vantaggio è che questa seconda tipologia di staking può essere effettuata anche con criptovalute che non sono basate su PoS, come ad esempio proprio Bitcoin.
Per guadagnare con questa seconda tipologia di staking bisogna inviare i propri token a servizi che li immobilizzano in cambio di un rendimento. Esistono diversi servizi che consentono di farlo, in genere tuttavia centralizzati e custodian.
Inoltre, spesso i rendimenti promessi sono variabili, a seconda dello stato del mercato in quel momento, pertanto è impossibile sapere in partenza con precisione quanto si guadagnerà, a meno che il fornitore del servizio proponga rendimenti fissi (cosa molto rara).
Bisogna infine ricordare che tutti questi guadagni vengono erogati nella stessa criptovaluta, o nello stesso token che è stato messo in staking, e che solitamente ha un valore decisamente variabile.
Solo le stablecoin consentono di ottenere guadagni in un token il cui valore non è molto volatile.
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