Mercati, quest’anno il sell in may è solo per i trader

Negli interminabili mesi di lockdown si è molto discusso e speculato su quale sarebbe stata la reazione alla riapertura in termini di propensione al consumo e di ritorno al lavoro in ufficio. Si comporteranno come una molla compressa, i consumatori, e si precipiteranno euforici a comprare tutto quello che è stato per loro inaccessibile per più di un anno o conserveranno le nuove abitudini a una vita sobria ed essenziale? Correranno a spendere i risparmi accumulati, storicamente molto elevati in tutto il mondo per chi ha conservato il posto di lavoro e perfino, quanto meno in America, per chi l’ha perduto o avranno interiorizzato un nuovo sistema di valori e non riprenderanno mai più ad andare al cinema, a ristorante o in vacanza nella stessa misura dei tempi precedenti la pandemia? E che dire dei beni durevoli, in particolare la casa e l’auto, che tradizionalmente hanno dato la spinta iniziale a tutti i cicli economici del dopoguerra?

Per rispondere abbiamo a disposizione i dati empirici di un Paese che è uscito da tempo dall’emergenza, la Cina, e di un altro che è in una fase avanzata di transizione verso la normalità. L’impressione che se ne ricava è che il pubblico, in generale, ha seguito una linea intermedia di ritorno graduale alla normalità, lento in Cina, più veloce in America, dove in realtà la contrazione dei consumi, nel 2020, è stata limitata al 3.9 per cento rispetto al 2019 nonostante a un certo punto ci fossero più di 20 milioni di persone che avevano perduto il lavoro.

Nelle aree in cui si è vista una ripresa di domanda particolarmente vivace, le case e l’auto in America, si nota già una maggiore calma. Questa calma è dovuta in primo luogo alle strozzature dal lato dell’offerta. Le case automobilistiche sono costrette in tutto il mondo a limitare la produzione, come è noto, perché non trovano sul mercato una quantità sufficiente di semiconduttori. Quanto all’edilizia, in America si costruisce soprattutto nel segmento più alto, più redditizio, mentre nel segmento medio e basso l’esplosione del costo del legname e la difficoltà a trovare manodopera comprimono l’offerta di case nuove. La domanda, dal canto suo, è frenata dall’aumento del prezzo delle case, quasi del 20 per cento rispetto a un anno fa, che annulla l’effetto positivo dei tassi bassi sui mutui.

Il fatto che non tutti i potenziali compratori riescano a trovare case e auto disponibili smussa la ripresa e riorienta i consumi in altre direzioni, come ad esempio le vacanze. In questo modo il sistema ritrova gradualmente il suo equilibrio.

Quando nei settori caldi si sarà formata più offerta e quando nei settori ancora freddi si sarà completato il processo di riduzione definitiva della capacità produttiva, quando cioè domanda e offerta ritroveranno un equilibrio nei diversi settori dell’economia, l’inflazione da disordine scenderà.

Nel mondo delle materie prime si usa dire che il sistema migliore per contrastare un prezzo alto è il prezzo alto stesso. Quando si superano certi livelli, infatti, si comincia a distruggere domanda. Questo potrà non essere vero per le materie prime che avranno una domanda rigida per decisione politica, come nel caso del rame, litio o cobalto impiegati nei prossimi due decenni nella transizione energetica, ma negli altri comparti, come si vede ad esempio dal legname, l’effetto di distruzione di domanda, come dicevamo, è già evidente e sta provocando una vistosa correzione delle quotazioni.

I mercati, per quanto ancora confusi e storditi dal 4.2 di inflazione americana, intuiscono che l’inflazione da disordine è transitoria e si mostrano pazienti. C’è sicuramente anche una componente di wishful thinking nonché la pigrizia mentale di volere continuare a pensare il mondo nello stato di disinflazione in cui abbiamo tutti vissuto per quarant’anni, ma c’è anche una certa logica.

E non dimentichiamo che, ad aiutare i mercati a rimanere costruttivi, ci sono i più di 200 miliardi al mese di acquisti di titoli solo per calcolare Fed e Bce. Nel catino dei mer cati l’acqua può anche essere a tratti agitata, ma finché il rubinetto delle banche centrali continua a versare generosamente ci possono essere onde e gorghi, ma il livello medio dell’acqua non può che continuare a salire.

Finché sentiremo i policy maker esprimere preoccupazione per le varianti del virus, per l’epidemia che avanza in Asia meridionale, per i milioni di persone che non sono ancora state riassunte potremo stare tranquilli sul fatto che il ritorno alla normalità monetaria e fiscale (quest’ultima soprattutto in America, in Europa vedremo) sarà cautissimo. E se nel flusso di dati macro ci sarà qualche delusione, come abbiamo visto nelle ultime due settimane, i mercati ne saranno quasi contenti, perché questo toglierà spazio ai Weidmann europei o ai Kaplan americani che invocano la fine del Pepp o il tapering anticipato.

L’estate è tradizionalmente un periodo volatile

Il posizionamento, tipicamente rialzista, viene costruito gradualmente nei primi mesi dell’anno, spingendo le borse verso l’alto. L’inerzia conduce il posizionamento oltre il livello fisiologico e rende quindi le quotazioni vulnerabili. Il sell in May non è una superstizione e ha un fondamento nella stagionalità dei flussi.

Detto questo, l’estate 2021 si profila meno volatile del solito per la robustezza della ripresa globale e per il flusso costante di liquidità da parte delle banche centrali cui va aggiunta, in America, la ripresa del riacquisto di azioni proprie in un numero crescente di settori.

Alleggerire adesso può apparire di qualche interesse per un trader a patto che sia pronto a comprare poco sotto i livelli attuali. Ne vale la pena? Per la maggior parte degli investitori no. Il rischio maggiore è quello di qualche altro mese di inflazione vivace, ma questo è in buona misura già scontato. I mercati, d’altra parte, guarderanno la derivata seconda dell’inflazione, che potrebbe cominciare a indicare una decelerazione già in tempi brevi.

A cura di Alberto Fugnoli, strategist di Kairos