Oro: fine del rally o semplice correzione? L’analisi di Schroders

Il recente calo dell’oro ha riacceso i timori di un picco simile a quello del 2011, ma secondo James Luke di Schroders siamo di fronte per il metallo giallo a una semplice pausa in un mercato rialzista destinato a durare. Ecco perché.

Un tuffo del 5,5% in una sola giornata, uno dei dieci peggiori della storia. E, a rimorchio, il tonfo del 9% delle azioni del settore minerario. Il violento scossone che ha colpito l’oro il 21 ottobre ha inevitabilmente rievocato negli investitori gli spettri del 2011, l’anno del massimo storico seguito da un lunghimo declino. Molti commentatori si sono affrettati a dichiarare raggiunto il picco. Ma è davvero così?

Per James Luke, Fund Manager, Metals di Schroders, il parallelo con il 2011 non regge. “Non vediamo un valido confronto tra la situazione attuale e quella del 2011”, afferma l’esperto, delineando invece una serie di fattori tecnici alla base della recente correzione.

I motivi di una correzione tecnica

Secondo Luke, il rally che ha portato l’oro a guadagnare oltre 1.000 dollari per oncia dalla fine di agosto – “il guadagno più rapido mai registrato” – era destinato a una pausa. “Si è trattato di un fenomeno effimero? Sì. Mostra segni di un picco secolare? Non crediamo”, spiega.

A contribuire al movimento sono stati anche il rialzo dell’argento, che ha trainato l’intero comparto, e un contesto di incertezza amplificato dalla temporanea mancanza di dati economici statunitensi a causa dello shutdown di inizio ottobre. Ora, con l’argento che inizia a essere consegnato a Londra e il suo prezzo in calo, questa spinta si sta attenuando.

Tuttavia, per Schroders, questa è una “correzione naturale” all’interno di un mercato rialzista pluriennale che rimane solido. “Continuiamo a ritenere che questo mercato rialzista sia incomparabile rispetto ai precedenti in termini di ampiezza e profondità della domanda monetaria potenziale”, sottolinea Luke.

L’“Everest” dei rally aurei e i due pilastri della domanda

La metafora usata dal fund manager è chiara: “Se, come riteniamo, questo è l’‘Everest’ dei mercati rialzisti dell’oro, pur essendo già ben avviati nella scalata, abbiamo ancora una lunga strada da percorrere prima di raggiungere la vetta”.

Questa visione si basa sull’analisi di due tendenze di fondo e sulla domanda che ne deriva.

  1. I trend geopolitici e fiscali sono risolti? “No”, è la risposta secca di Luke. L’avvento di un ordine mondiale multipolare, le tensioni USA-Cina, l’aumento del debito pubblico e la deriva verso il “dominio fiscale” continuano a minacciare lo status quo delle valute legali, alimentando la domanda di oro come bene rifugio.
  2. I grandi investitori hanno esaurito la domanda? Anche in questo caso, Schroders risponde negativamente. Le banche centrali dei mercati emergenti, nonostante gli acquisti record, detengono ancora solo il 12% delle loro riserve in oro, contro il 45%+ di quelle dei paesi sviluppati. “Le riserve della Banca popolare cinese (secondo i dati ufficiali) si attestano al 7%”, ricorda Luke, lasciando ampio spazio a futuri acquisti per ragioni strategiche.

A sostegno della domanda, inoltre, ci sono le famiglie cinesi, che continuano a vedere nell’oro il miglior investimento e dispongono di ingenti liquidità, e una domanda retail in India e Giappone che rimane forte nonostante i prezzi elevati.

Le prospettive per i titoli minerari e le opportunità

E per quanto riguarda le società minerarie, colpite dal crollo? Secondo l’analisi di Schroders, il loro appeal non viene meno. “Uno dei principali motivi di attrazione delle società aurifere in questo mercato rialzista è stato il loro margine di flusso di cassa record. Non riteniamo che i recenti cali del prezzo dell’oro cambino questa situazione”, afferma Luke.

I margini, calcolati sugli all-in sustaining cost, sono infatti raddoppiati rispetto al picco del 2020, mentre le quotazioni delle azioni sono oggi più basse. Con il prezzo medio dell’oro nel terzo trimestre a 3.430 dollari/oncia, si intravedono già nuovi cicli di utili record. Le previsioni di consenso per il 2026 e il 2027, inoltre, rimangono ben al di sotto dei prezzi spot, lasciando “ampio margine per revisioni al rialzo degli utili”.

In sintesi

In conclusione, la view di Schroders è chiara: “Fondamentalmente, riteniamo che sarà il prezzo a continuare a fare la differenza, non i volumi acquistati, data l’enorme discrepanza tra gli aggregati globali di azioni e titoli a reddito fisso e l’offerta disponibile di oro”.

Il consolidamento in atto, se lascerà intatto il mercato rialzista come nello scenario base, potrebbe quindi aprire “alcune opportunità molto interessanti” per chi crede che la scalata verso la vetta dell’Everest aureo sia ancora lunga.