Mercati emergenti 2026: divergenze, sfide e opportunità secondo RBC BlueBay

Mentre il 2026 si affaccia all’orizzonte, i mercati emergenti si preparano a un anno di performance economiche robuste ma solcato da fratture significative e dilemmi politici. Secondo l’analisi di Polina Kurdyavko, Head of EM Debt di RBC BlueBay, il panorama è costruttivo ma complesso. “Nonostante un modesto rallentamento della crescita globale, le economie emergenti sono destinate a superare quelle sviluppate, grazie alla robusta domanda interna, alla credibilità delle politiche e al miglioramento della disciplina fiscale”, afferma Kurdyavko.

L’inflazione, spiega l’esperta, “rimane ampiamente contenuta e ciò consente alle banche centrali di mantenere un orientamento moderatamente accomodante”. Tuttavia, un’ombra di incertezza proviene dall’Occidente: “L’incertezza che circonda la traiettoria fiscale degli Stati Uniti e la reazione della Fed mantiene ambigua la direzione del dollaro. I mercati si chiedono se si tratti di un punto critico a livello ciclico o dell’inizio di un cambiamento strutturale verso una performance superiore nel lungo periodo: noi riteniamo che si tratti della seconda ipotesi”.

Il contesto geopolitico rimane un fattore chiave. “I paesi emergenti stanno navigando nella rivalità tra Stati Uniti e Cina, cercando l’autonomia strategica e beneficiando al contempo degli investimenti di entrambe le potenze”, osserva Kurdyavko. La regione latinoamericana, con le sue elezioni e le ricchezze minerarie, è al centro di questo interesse, mentre l’Africa subsahariana affronta sfide legate al debito.

Il paradosso dell’ortodossia monetaria

Uno dei pilastri della resilienza degli emergenti negli ultimi 25 anni è stato, secondo Kurdyavko, “la diffusione dell’ortodossia monetaria”, che ha ridotto la dipendenza dal debito estero. Tuttavia, questo approccio mostra ora il suo rovescio della medaglia in alcuni paesi all’avanguardia nella lotta all’inflazione.

“In Brasile, i mercati hanno accolto con favore l’impegno della banca centrale a mantenere una posizione restrittiva, aumentando i tassi di 425 punti base nell’ultimo anno, con un tasso di riferimento del 15%”, ricorda la Head of EM Debt. “Tuttavia, ha anche reso il costo dei prestiti alle imprese notevolmente più elevato. In Brasile, ad esempio, le società con un livello di indebitamento superiore a 3x spendono ora il 60% del loro EBITDA per pagare gli interessi”.

Le conseguenze sono tangibili: “Questa situazione insostenibile ha portato a un elevato livello di insolvenze nel mercato locale”. Un fenomeno che accomuna anche la Turchia, sebbene con dinamiche differenti.

Nonostante ciò, Kurdyavko individua opportunità proprio in questi mercati stressati: “Il lato positivo, ancora una volta utilizzando l’esempio del Brasile, è che la maggior parte delle aziende ha superato molte crisi negli ultimi due decenni, rafforzando la propria resilienza”. E aggiunge: “Privilegiamo le opportunità nei mercati locali come il Brasile, dati i tassi reali interessanti e la continua ortodossia politica”.

Oltre al Brasile, l’outlook di RBC BlueBay è ottimistico su Messico, Colombia e Argentina, mentre in Asia le aziende beneficiano di un contesto di tassi generalmente bassi.

Il nodo irrisolto dei Paesi poveri fortemente indebitati

La parte più critica dell’analisi riguarda i Paesi poveri fortemente indebitati. Nonostante le iniziative di sostegno internazionale, “la maggior parte di questi Paesi si ritrova nuovamente ad affrontare difficoltà a distanza di due decenni”, sottolinea Kurdyavko.

Il caso della Repubblica del Congo è emblematico: ha testato il mercato con un’obbligazione a un rendimento del 13,7%, “un livello chiaramente insostenibile nel lungo termine”, soprattutto per un paese con elevate esigenze sociali e un rapporto debito/PIL al 95%. “Ciò è in netto contrasto con altri paesi, come lo Zambia e il Ghana, che sono riusciti a uscire dalla ristrutturazione e registrano rendimenti a una cifra”, puntualizza l’analista.

La previsione per il 2026 è che i default sovrani aumenteranno, pur restando sotto la media storica. La soluzione, secondo Kurdyavko, richiede un cambio di passo: “Continuiamo a sostenere soluzioni che forniscano risultati più sostenibili e riconosciamo che ciò richiederà un approccio più creativo che potrebbe includere la possibilità di coinvolgere investitori privati”. Segnali di apertura in questa direzione emergerebbero anche dal FMI.

“Il 2026 potrebbe infatti essere l’anno in cui inizieremo a vedere i primi risultati di tali soluzioni, in particolare con emissioni più mirate legate ai criteri ESG, data l’attenzione degli investitori alla trasparenza dell’utilizzo dei proventi”, conclude Kurdyavko, delineando una possibile via d’uscita che coniuga sostenibilità finanziaria e sviluppo.