Nonostante il recente dibattito sull’eventuale indebolimento della domanda internazionale per i titoli del Tesoro statunitensi, gli ultimi dati ufficiali delineano un quadro molto diverso. Secondo gli esperti di Fisher Investments, le preoccupazioni diffuse su dazi, politiche fiscali e rapporti tra Casa Bianca e Fed risultano poco fondate alla prova dei numeri.
Gli analisti osservano che alcuni commentatori hanno suggerito che gli investitori internazionali stiano iniziando a disimpegnarsi dal debito americano, ma i dati contraddicono chiaramente questa ipotesi. Come affermano gli esperti di Fisher Investments, “i dati, sia a breve che a lungo termine, suggeriscono che la domanda di titoli del Tesoro è viva e vegeta“.
Il rapporto Treasury International Capital del Dipartimento del Tesoro statunitense, pubblicato a luglio, mostra che le partecipazioni estere in titoli del Tesoro hanno raggiunto un record di 9,16 trilioni di dollari, in aumento rispetto agli 8,43 trilioni dell’anno precedente. Gli analisti sottolineano inoltre che “gli investitori stranieri hanno acquistato più asset statunitensi di quanti ne abbiano venduti”, contraddicendo l’idea di una fuga dagli asset americani.

Questo aumento non appare episodico: gli investitori non statunitensi risultano acquirenti netti da mesi. La crescita delle partecipazioni è proseguita anche dopo la rielezione del presidente Trump e dopo l’annuncio del nuovo impianto tariffario del 2 aprile, eventi spesso citati come potenziali fattori di rischio.
Anche i rendimenti dei titoli indicano stabilità. Il decennale è sceso al 4,18% rispetto al 4,37% di fine luglio, un andamento che mal si concilia con la narrativa di un abbandono dei titoli del Tesoro. Come precisano gli esperti, “anche questo non è ciò che ci si aspetterebbe se gli investitori all’estero stessero fuggendo dagli asset statunitensi”.
Gli analisti ricordano inoltre che la struttura del mercato obbligazionario americano è dominata dalla domanda interna: fondi pensione, banche, assicurazioni, investitori retail, la Fed e i fondi fiduciari della previdenza sociale detengono la porzione maggiore del debito. E la domanda domestica è un fattore di sostegno cruciale e stabile nel tempo.
Nel lungo periodo, la quota estera non mostra segni di deterioramento strutturale. Anche il calo del 2020, spiegano gli esperti di Fisher Investments, fu dovuto principalmente alla massiccia emissione di debito per far fronte alle misure pandemiche e al parallelismo con i programmi di quantitative easing.
Il quadro complessivo, dunque, appare solido. Come sintetizzano gli analisti, “non vediamo molte prove che gli asset statunitensi siano improvvisamente diventati un paria globale: sembra piuttosto il contrario”.
Una conclusione che rovescia l’idea di un mercato obbligazionario americano in difficoltà e, anzi, contribuisce a rafforzare quello che gli esperti definiscono un “mattone rialzista” nel classico muro di preoccupazione che spesso accompagna le fasi positive dei mercati.
