Secondo Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim, durante lo shutdown governativo l’assenza di statistiche ufficiali ha alimentato l’incertezza sullo stato dell’economia statunitense.
“I dati raccolti nell’ultimo mese e mezzo indicano la persistenza di un’inflazione elevata e di un mercato del lavoro in indebolimento”, osserva Tognoli.
Una combinazione insolita, ma coerente con la curva di Phillips: disoccupazione contenuta e inflazione superiore alle medie storiche.
Il tasso di disoccupazione al 4,3% rimane infatti inferiore alla media trentennale del 5%. L’inflazione, intorno al 3%, è invece più alta della media del +2,5% registrata negli ultimi trent’anni.
La strategia della Fed e il ruolo dell’inflazione
Tognoli non esclude che la Fed possa tollerare un’inflazione vicina al 3% per sostenere il mercato del lavoro: “Il problema è che le imprese domandano lavoro se si aspettano una domanda crescente di beni e servizi”. Una dinamica inflazionistica spinta dai dazi, aggiunge, non stimolerebbe in realtà la domanda marginale.
La fine dello shutdown riporta finalmente sul tavolo i dati necessari alla valutazione della Fed, che il 9 e 10 dicembre deciderà se procedere a un terzo taglio consecutivo dei tassi. Secondo Cfo Sim, è improbabile che ciò avvenga.
Le aspettative dei mercati e le parole della Fed
Gli investitori stimano appena il 43% di probabilità di un taglio a dicembre, in netto calo rispetto alle settimane precedenti. A influire sono stati anche i recenti interventi dei membri del FOMC.
Il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, ha segnalato che la debolezza del mercato del lavoro potrebbe riflettere fattori strutturali — come minore immigrazione e crescente adozione dell’intelligenza artificiale — poco sensibili a una riduzione del costo del denaro. Un punto che si affianca alla posizione di Powell, secondo cui una riduzione dei tassi “non era una conclusione scontata, tutt’altro”.
I consumatori in difficoltà e il mercato immobiliare
Le famiglie a basso e medio reddito restano le più colpite dal mix di tassi elevati e mercato occupazionale indebolito. La National Association of Realtors rileva che l’età media dei nuovi proprietari di prima casa ha toccato i 40 anni, massimo storico, contro i 33 del 2021. La quota dei first-time buyers è scesa al 21%, il livello più basso dal 1981. Decisivo il balzo del prezzo mediano delle abitazioni, ora a 415.200 dollari, oltre il 50% in più rispetto al 2019.
Prestiti, insolvenze e occupazione
La pressione finanziaria emerge anche dal credito al consumo: Fitch segnala che i ritardi oltre 60 giorni nei prestiti auto subprime hanno raggiunto il 6,65%, record dal 1994. Secondo Transunion, il 14,4% dei consumatori detiene prestiti subprime, valore più alto dal 2019. Sul fronte occupazionale, il rapporto ADP segnala che, nelle quattro settimane fino al 25 ottobre, il settore privato ha tagliato in media 11.250 posti di lavoro a settimana.
La distanza tra consumatori e investitori
Questo quadro contrasta con la solidità delle fasce più benestanti, che continuano a beneficiare di risparmi elevati, mutui a tasso fisso e rendimenti azionari importanti. L’S&P 500 si dirige verso il quarto trimestre consecutivo di crescita degli utili a doppia cifra.
Tuttavia, qualche segnale di instabilità si intravede: l’indice Bloomberg Magnificent Seven è sceso del 4,8% rispetto al record del 29 ottobre. Allo stesso tempo cresce l’incertezza sulla sostenibilità del boom legato all’intelligenza artificiale.
Il rischio bolla e la lezione di Cisco
Per ridurre l’esposizione a eventuali correzioni del comparto tecnologico, Tognoli richiama l’importanza della diversificazione. Il caso Cisco è emblematico: il titolo salì a 80 dollari nel marzo 2000 per poi crollare a 8,60 nell’ottobre 2002, in pieno scoppio della bolla dot-com. Solo recentemente è tornato a sfiorare quei livelli. “La diversificazione con una prospettiva di lungo periodo è stata una strategia vincente dopo la bolla delle dot-com e crediamo che lo sarà anche oggi”, conclude Tognoli.
