Mentre l’economia globale mostra segnali di rallentamento, alimentati da un calo della domanda e del commercio internazionale, gli Stati Uniti sembrano voler puntellare la propria crescita con strumenti fiscali e monetari sempre più aggressivi. A evidenziarlo è Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy di Lemanik, secondo cui il modello economico americano richiede ormai interventi continui per evitare di precipitare in crisi profonde.
“Nonostante un dichiarato +3,8% di PIL, gli Stati Uniti si apprestano ad avviare l’ulteriore disperato tentativo di salvare la situazione, aggiungendo allo stimolo fiscale anche quello monetario. Tutto questo conferma in pieno tutte le mie valutazioni sulla crisi del modello americano, che richiede politiche reflazionistiche sempre più aggressive per evitare di precipitare in una crisi”, spiega Novelli.
Secondo l’esperto, il problema non riguarda solo la crescita economica apparente, ma soprattutto la struttura del sistema finanziario e creditizio statunitense. “E’ preoccupante che tutte le recessioni dal 2000 in poi si siano trasformate in crisi finanziarie, mentre le recessioni precedenti, pur provocando ribassi di Borsa, non hanno mai richiesto colossali interventi pubblici o dei banchieri centrali”, sottolinea Novelli.
Dati recenti confermano l’allarme. La società FICO, principale riferimento per la qualità del credito al consumo negli Stati Uniti, segnala che le revisioni al ribasso dei rating dei consumatori viaggiano più velocemente di quanto avvenuto nel 2008. Particolarmente critico il settore dei prestiti studenteschi, con tassi di insolvenza che hanno raggiunto il 29%, un livello storico. Inoltre, la fine della moratoria sui mutui introdotta dall’amministrazione Biden potrebbe colpire circa il 13% dei mutui ancora in essere, peggiorando ulteriormente la qualità del credito.
“Il problema reale è convincere gli investitori che i fallimenti recenti di due grandi società USA, Tricolor Holding e First Brands Group, siano incidenti isolati. Entrambe avevano debiti fuori bilancio non dichiarati, lo stesso problema che aveva scatenato la crisi del 2008”, osserva Novelli.
Un’altra fonte di preoccupazione riguarda il dibattito in Congresso sul Debt Ceiling. “Il nodo non è tanto il rischio di chiusura del governo, quanto le spese per Medicaid, un sostegno cruciale per circa il 25% della popolazione. Un taglio impatterebbe pesantemente sui consumi, già oggi finanziati per il 22% dal credito al consumo, il doppio rispetto ai livelli pre-2008. Considerando anche i sussidi pubblici, la percentuale di consumi finanziati supera probabilmente il 30%”, evidenzia l’esperto.
Novelli mette in dubbio anche la reale forza dei dati macro americani. “La crescita del PIL nominale può essere distorta dall’inflazione, mentre il reddito reale dei consumatori e il loro potere di spesa potrebbero essere in calo. Il recente +3,8% di PIL non è compatibile con l’impennata delle insolvenze sui crediti al consumo”, spiega.
Infine, il gestore del fondo Lemanik sottolinea i rischi legati agli investimenti in tecnologia e intelligenza artificiale. “Il capex su AI e data center contribuisce alla crescita del PIL, ma i ritorni sugli investimenti sono previsti solo nel lungo termine, intorno al 2035. Questo potrebbe portare a una bolla speculativa nel settore tech, indipendentemente dai problemi del credito circolante nello shadow banking system”, avverte Novelli.
Per l’esperto, l’indicatore più affidabile del rischio di sistema non è la Borsa, ma l’andamento dell’oro. “E’ difficile continuare a credere che l’attuale modello possa reggere a lungo, nascondendo problemi strutturali sempre più ingestibili”, conclude.