Secondo Arif Husain, Head of Global Fixed Income e Cio Fixed Income di T. Rowe Price, la recente fase accomodante della Fed non cambia la prospettiva di lungo periodo sui rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi. “Mi è stato chiesto se continuo a prevedere che il rendimento dei Treasury a 10 anni si avvicinerà al 6%. La risposta breve è sì”, afferma Husain.
Nonostante il recente calo dei rendimenti, l’esperto ribadisce che “da una prospettiva lineare dei normali fattori che determinano i rendimenti dei titoli del Tesoro, l’unico elemento che è cambiato è l’attuale livello dei rendimenti”. Tre, in particolare, i fattori che continuano a sostenere la sua tesi di rendimenti più elevati: l’aumento dell’offerta di debito pubblico, la persistenza dell’inflazione e le valutazioni ancora poco attraenti dei Treasury a lunga scadenza.
Boom del debito e inflazione persistente
Husain sottolinea come “il boom dell’offerta di debito sovrano nei mercati sviluppati, dovuto alla mancanza di austerità fiscale, resti una forza rialzista sui rendimenti”. Paesi come la Francia stanno già pagando il prezzo dell’indisciplina di bilancio, ma “gli Stati Uniti, nonostante una generosità di spesa paragonabile, non hanno ancora sperimentato una pressione simile sul mercato dei Treasury”.
Anche l’inflazione, secondo l’esperto, rimane un tema centrale. “Gli ultimi dati indicano un ampliamento, e non una riduzione, delle pressioni inflazionistiche”, osserva Husain. “E anche se comprendo le ragioni a favore di un impatto disinflazionistico a medio termine dell’intelligenza artificiale, non siamo ancora a quel punto”. Inoltre, “poiché la pressione politica pone delle sfide all’indipendenza della Fed, il rischio di inflazione è sicuramente in aumento”.
Valutazioni poco convincenti e curva piatta
Dal punto di vista delle valutazioni, Husain ritiene che “i Treasury a lunga scadenza siano pessimi, sia rispetto alla liquidità sia rispetto ad altri titoli di Stato dei mercati sviluppati”. All’inizio di ottobre, nota, “il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni era superiore solo di pochi punti base rispetto alla liquidità”.
Un contesto in cui “la curva dei rendimenti statunitense non è attraente per gli investitori non americani, che non sono disposti ad assumersi il rischio di cambio”.
Il mercato guarda alla crescita, non all’inflazione
A sorprendere Husain è “l’attenzione del mercato interamente rivolta alla crescita e al rallentamento del mercato del lavoro, ignorando il potenziale di una ripresa dell’inflazione”. Secondo l’esperto, “il consenso è saldamente schierato nel primo paniere”, trascurando la possibilità di un ritorno di pressioni sui prezzi.
“La narrativa ‘50 è il nuovo 150’ sui nuovi posti di lavoro riflette un cambiamento strutturale nel mercato del lavoro”, spiega, ricordando come “la politica migratoria statunitense abbia limitato l’offerta di manodopera”.
“I discorsi sulla recessione sono fuori luogo”
Per Husain, parlare di recessione è prematuro. “La maggior parte delle banche centrali globali sta tagliando i tassi e molti paesi hanno aperto i rubinetti della spesa pubblica”, osserva. Negli Stati Uniti, “la massiccia deregolamentazione e gli incentivi fiscali stanno appena iniziando a produrre effetti”.
L’esperto ritiene inoltre che “l’amministrazione americana farà tutto il necessario affinché l’economia continui a funzionare a pieno ritmo fino alla prossima estate”, anche in vista del 250° anniversario del Paese e delle elezioni di medio termine del 2026.
Il rischio “non lineare”: la politica sulla Fed
Oltre ai fattori economici “lineari”, Husain intravede un rischio “non lineare” legato alla crescente pressione politica sulla Fed. “Il nuovo governatore Stephen Miran ha parlato del terzo mandato della Fed: il raggiungimento di tassi di interesse moderati a lungo termine”, ricorda.
Con l’arrivo di un nuovo presidente della Fed nel maggio 2026, “il rischio che la banca centrale influenzi in modo sostanziale i rendimenti dei Treasury a lunga scadenza è un fattore da tenere presente”. Secondo Husain, non si può escludere che “la Fed possa rallentare il quantitative tightening o addirittura tornare ad acquistare MBS e Treasury per abbassare i tassi ipotecari”.
“Non so come reagirebbe il mercato in questo scenario”, ammette, “ma credo che sarebbe saggio ricordare il vecchio adagio: ‘Don’t fight the Fed’”.
Dollaro più debole e inflazione più alta
In conclusione, Husain ribadisce che “i rendimenti dei Treasury a più lunga scadenza aumenteranno” e che “un rendimento del 5%, o anche del 6%, resta una possibilità plausibile”. Tuttavia, mette in guardia da un possibile contraccolpo: “Se la Fed intervenisse attivamente per spingere al ribasso i tassi a lungo termine, il dollaro sarebbe la principale vittima finanziaria, con un aumento dell’inflazione come principale conseguenza economica indesiderata”.