Dopo il periodo straordinario del QE, caratterizzato da bassa inflazione e tassi di interesse contenuti, lo scenario è cambiato per molte società di crescita di qualità, avverte Josh Passmore, direttore degli investimenti presso Artemis Equity Income Strategies. “Al di là di quella parte di mercato trainata dall’intelligenza artificiale, molte società – incluse alcune delle legendarie ‘Magnificent Seven’ – devono oggi impegnarsi non poco per essere all’altezza del potenziale di crescita che viene loro attribuito. Forse è il momento di tornare a riflettere sulle lezioni della storia”.
Passmore ricorda come i mercati azionari statunitensi abbiano attraversato lunghe fasi di stagnazione o sottoperformance in passato: dagli anni Trenta dopo il crollo di Wall Street, agli anni Settanta e al primo decennio del nuovo secolo. “Negli anni Settanta, un periodo segnato da shock petroliferi, inflazione e crescita ridotta, furono i titoli value e le small cap a registrare le migliori performance, mentre il settore tecnologico sottoperformò significativamente”.
Un parallelismo emerge anche con i cosiddetti titoli “Nifty Fifty” degli anni Sessanta, simili ai Magnificent Seven di oggi: “Prima della crisi petrolifera del 1973, questi titoli seguirono un andamento positivo, salvo poi registrare performance nettamente inferiori. Dopo la bolla delle dot-com, persino Microsoft, oggi leader mondiale, concluse quegli anni in territorio negativo. Altri comparti, come i mercati emergenti e i titoli value, produssero risultati migliori”.
La diversificazione come chiave
Per Passmore, la lezione attuale è chiara: “Dati gli alti e bassi dei mercati, un approccio basato sulla diversificazione appare quanto mai opportuno. Tuttavia, la diversificazione non è ciò che caratterizza un portafoglio passivo medio, solitamente fortemente esposto al dollaro e ai titoli azionari statunitensi. Circa il 40% dei portafogli simili è concentrato in tecnologia”.
Il gestore evidenzia come la gestione attiva possa offrire alternative più efficaci, pur ricordando che molti fondi globali restano orientati verso titoli di crescita statunitensi. “Gli Stati Uniti continueranno a ospitare aziende eccezionali, ma una buona società non è necessariamente un buon investimento”, ammonisce.
I casi emblematici di Apple, Coca-Cola e LVMH
Apple, spiega Passmore, “non riesce a far crescere i flussi di cassa dal 2023. Tra le cause vi sono l’andamento sfavorevole delle valute, problemi produttivi in Cina e un rallentamento delle vendite. Inoltre, i dazi e la pressione a riportare la produzione negli Stati Uniti non favoriscono le prospettive di generazione di cassa”.
Coca-Cola presenta oggi un P/E di 23x, a fronte di un ritmo di crescita dei dividendi del 4% annuo, mentre LVMH, dopo il picco della pandemia, ha visto i ricavi diminuire del 2% e l’utile per azione scendere quasi del 15%. “Questi esempi mostrano come società note e consolidate possano trovarsi in difficoltà nel contesto attuale”, sottolinea Passmore.
Opportunità oltre i nomi noti
Secondo Passmore, guardando oltre i grandi nomi si possono trovare interessanti occasioni di investimento. Le banche regionali giapponesi, come Concordia, stanno beneficiando del ritorno dell’inflazione e del rialzo dei tassi. Heidelberg Materials, in Germania, vanta una buona redditività e dovrebbe beneficiare dei piani di spesa pubblica, con P/E di 15x rispetto ai 24x dell’MSCI ACWI. Infine, la cinese People’s Insurance Co (PICC) continua a generare rendimenti elevati, con multipli contenuti e un forte supporto dall’espansione della classe media cinese.
“Alcuni investitori attendono la ripresa dei ritardatari della ‘crescita di qualità’, ma questa attesa potrebbe rivelarsi vana. È il momento di diversificare maggiormente”, conclude Passmore. “Chi è disposto a guardare oltre i nomi consolidati può trovare opportunità in società in forte crescita e a prezzi convenienti. Ma i vincitori di domani non si trovano concentrandosi esclusivamente su quelli di ieri”.