Le azioni delle società aurifere stanno vivendo un momento di forte sovraperformance rispetto al prezzo dell’oro, almeno nell’orizzonte dell’anno in corso. Al 26 agosto 2025, l’HUI Gold Mining Index ha registrato un rialzo di oltre il 50%, molto superiore al +12% del prezzo dell’oro calcolato in euro e alla sostanziale stagnazione del più ampio mercato delle materie prime, misurato dall’indice MSCI World Materials Sector, che include anche i principali produttori d’oro. Tuttavia, guardando a un periodo più lungo, gli ultimi cinque anni, la situazione si capovolge: l’oro fisico ha segnato un +70%, mentre l’indice HUI ha registrato un incremento inferiore al 40%, o circa il 50% includendo i dividendi distribuiti.
Flussi di cassa e marginalità
Secondo Stefan Breintner, Head of Research & Portfolio Management, e Manuel Zeuch, Research & Portfolio Management di DJE Kapital, “le azioni aurifere stanno sovraperformando l’oro fisico poiché i produttori quotati vengono rivalutati. Nonostante l’oro rimanga un bene rifugio, il settore minerario beneficia della stabilizzazione dei costi di estrazione e produzione, superando le precedenti pressioni dovute a inflazione, capex elevato e sfide valutarie o operative”.
L’esempio di Newmont, il più grande produttore aurifero mondiale, evidenzia come i costi di produzione siano aumentati moderatamente negli ultimi anni: i puri costi di produzione sono saliti di poco meno del 49% a 1.126 dollari l’oncia tra il 2020 e il 2024, mentre gli AISC (All-in Sustaining Costs) sono aumentati del 35% a 1.516 dollari l’oncia. “La pressione sui prezzi si è recentemente attenuata, soprattutto per materiali ed energia, e nel prossimo futuro sono probabili aumenti moderati o una stagnazione dei costi”, aggiungono Breintner e Zeuch.
Con il prezzo dell’oro sopra i 3.850 dollari l’oncia, l’intero settore sta generando free cash flow eccezionali, rafforzando i bilanci societari e incrementando le opportunità di remunerazione degli azionisti, anche tramite riacquisti di azioni. Tra le principali società, Newmont, Kinross e Agnico Eagle stanno mostrando un’intensa attività di buyback.
Sfide e rischi del settore
Uno dei fattori che ha frenato le azioni aurifere negli ultimi cinque anni è la difficoltà di molte aziende nel rispettare le previsioni di produzione e costi. “Numerose società, inclusa Newmont, hanno regolarmente mancato le proprie stime, minando la fiducia degli investitori”, osservano Breintner e Zeuch. Tra le eccezioni spicca Agnico Eagle, che ha rispettato le previsioni quasi ininterrottamente negli ultimi 14 anni e mantiene una produzione concentrata in Canada, con elevata stabilità politica.
Non mancano però i rischi geopolitici. La grave instabilità in Mali ha bloccato la produzione della miniera di Loulo-Gounkoto, mentre in altre aree dell’Africa occidentale – Mali, Senegal, Costa d’Avorio e Ghana – le società integrate come Endeavour Mining operano con efficienza grazie a rapporti solidi con autorità e comunità locali. Anche i nuovi progetti auriferi rimangono complessi e soggetti a imprevisti, come dimostra Goldfields con il progetto Salares Norte in Cile, rallentato da problematiche ambientali e meteorologiche, ma ora stabilizzato.
Il prezzo dell’oro resta il fattore chiave
Per Breintner e Zeuch, “i management delle società aurifere quotate dovrebbero aver imparato dagli errori del passato e gestire le aspettative del mercato dei capitali in modo più realistico. Il fattore di profitto più importante è e rimane il prezzo dell’oro”. Con quotazioni superiori a 3.850 dollari l’oncia, la generazione di free cash flow e le opportunità di aumentare i rendimenti per gli azionisti rimangono elevate, confermando l’attrattiva del settore nel medio termine.