Lo shutdown più lungo della storia moderna degli Stati Uniti si è finalmente concluso, ma i problemi economici non sono stati risolti. Secondo Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM, “sebbene molti sondaggi dicano che la maggior parte dei cittadini statunitensi accusi i repubblicani per lo shutdown che appena concluso, alla fine sono stati i Democratici a risentire della crescente pressione e ad approvare la concessione di un budget. Non bisogna dimenticare infatti l’impossibilità di spendere fondi pubblici impatta anche settori come il supporto alimentare, particolarmente cari ai loro elettori”.
Signori sottolinea come la spinta principale verso un accordo sia stata la preoccupazione crescente per lo stato dell’economia, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra i cittadini, “e questo nonostante gli Usa abbiano vissuto circa 20 shutdown tra il 1970 e oggi e l’impatto sia sempre stato solo di breve periodo”.
Il budget approvato, però, non rappresenta uno stanziamento permanente, ma fondi temporanei per rifinanziare i segmenti più critici. “Più che essere risolti, i problemi sono solo rimandati e si ripresenteranno, verosimilmente, a gennaio del prossimo anno”, avverte Signori.
Gli effetti dello shutdown prolungato si manifestano anche sul mercato del lavoro: dati recenti mostrano un rischio di rallentamento, con possibili aumenti dei licenziamenti e riduzione dei posti vacanti. Per quanto riguarda i consumi, l’indicatore delle vendite al dettaglio della Fed di Chicago segnala una frenata rispetto al terzo trimestre, ma senza cali significativi.
La Fed ha risposto con un ulteriore taglio dei tassi di interesse di 25 punti base, portandoli al 4%, e con la sospensione della normalizzazione dei bilanci per dicembre. Tuttavia, come spiega Signori, “la situazione resta complicata, visto che si stanno scontrando il rischio di ribasso legato a un mercato del lavoro ancora traballante e quello di una nuova risalita dell’inflazione. Ciò sta creando forti divergenze d’opinioni all’interno della commissione chiamata a decidere sulle prossime mosse di politica monetaria”. Secondo Ofi Invest AM, se l’impatto dei dazi continuerà a restare moderato, “un ulteriore taglio rimane comunque lo scenario più probabile”.
Nel frattempo, l’Europa mostra segnali di maggiore stabilità economica. In Francia, la crescita del terzo trimestre ha raggiunto il +0,5%, grazie a una forte domanda interna, investimenti privati elevati e un livello di esportazioni sostenuto. Nell’Area Euro, però, la situazione appare frammentata: Germania e Italia faticano a crescere, colpite dai dazi sull’export, mentre Spagna e altre economie più piccole, come il Portogallo, mantengono una buona dinamica. L’inflazione, nel complesso, è scesa al 2,1% a ottobre.
Secondo Signori, “sebbene l’atteggiamento della Bce resterà saldamente legato ai dati, la probabilità che si arrivi a fine anno con un tasso d’interesse al 2% è aumentata, dato che costo del denaro e rischi di crescita appaiono ben bilanciati per i mesi a venire. L’appuntamento di dicembre sarà cruciale per avere una migliore visibilità su cosa intende fare Francoforte”.
