Gli investitori non avevano iniziato il 2025 aspettandosi un nuovo exploit dell’S&P 500. Dopo due anni di rialzi superiori al 20% — +24% nel 2023 e +23% nel 2024 — il contesto macroeconomico sembrava poco favorevole a un’ulteriore accelerazione degli indici. Eppure, contro ogni previsione, il listino americano viaggia oggi oltre il +16%, a due mesi dalla chiusura dell’anno, avvicinandosi alla soglia psicologica di un terzo anno consecutivo con guadagni sopra il 20%, evento registrato finora una sola volta durante la bolla delle dot-com.
Secondo Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim, la forza del mercato trova la sua origine soprattutto nell’espansione dell’intelligenza artificiale generativa. Come afferma Tognoli, “l’avanzata dell’S&P 500 è stata in gran parte una storia riguardante l’IA generativa e la sua promessa di fornire un incremento storico della produttività all’economia”. Tuttavia, aggiunge che “il rally non è stato privo di scetticismo poiché crescono le preoccupazioni riguardo a una possibile bolla”.
Il tema della concentrazione e delle valutazioni
Una delle principali fonti di preoccupazione è la forte concentrazione dei rendimenti su un numero ristretto di titoli. “Solo quattro azioni rappresentano circa il 50% dell’avanzata dell’S&P 500 quest’anno”, ricorda Tognoli. Il caso più eclatante è Nvidia, che ha superato i 5mila miliardi di dollari di capitalizzazione, più del PIL di ogni Paese al mondo eccetto Stati Uniti e Cina.
A ciò si affianca un livello di valutazioni elevato: lo Shiller CAPE dell’indice è tornato a quota 40, un livello che richiama alla memoria i mesi precedenti lo scoppio della bolla delle dot-com. Tognoli sottolinea però che “la valutazione è stata storicamente un indicatore inaffidabile della performance a breve termine, poiché i prezzi elevati possono persistere molto più a lungo dei fondamentali”, e ricorda che l’indice è oggi composto da società mediamente più solide e con bilanci migliori rispetto agli anni Novanta.
Investimenti in crescita e rischio di sovracostruzione
La corsa agli investimenti nell’infrastruttura IA rappresenta un altro fattore determinante nel dibattito sulla possibile formazione di una bolla. Per Tognoli, “stimiamo che gli hyperscaler spenderanno complessivamente 360 miliardi di dollari nel 2025 e 450 miliardi nel 2026”, numeri che richiamano l’eccesso di costruzione delle reti in fibra ottica durante l’era delle dot-com. La sfida, osserva, sarà “adeguare la capacità alla domanda futura”.
Le differenze rispetto alla bolla delle dot-com
Pur riconoscendo alcune similitudini, Tognoli individua anche differenze sostanziali tra l’attuale fase e la bolla di fine millennio. “Le aziende mega-cap legate all’IA sono redditizie, mantengono ampi fossati competitivi e hanno bilanci solidi”, afferma, sottolineando come oggi gli investimenti siano finanziati da solidi flussi di cassa operativi, non da debito. Inoltre, il contesto monetario è più favorevole, con una Fed orientata a politiche meno restrittive.
Un elemento chiave è la rapidità dell’adozione dell’IA, che sta superando quella del PC e di Internet. Tognoli precisa che “le ore lavorative assistite dall’IA sono tra l’1% e il 5% del totale, con risparmi equivalenti all’1,4% delle ore lavorative complessive”, e che la quota di aziende intenzionate a utilizzare l’IA nei successivi sei mesi è più che raddoppiata dal 2023.
Bolla, ciclo o rivoluzione di lungo periodo?
Stabilire se ci si trovi di fronte a una bolla speculativa è complesso. Tognoli ricorda come Alan Greenspan parlò di “esuberanza irrazionale” già nel 1996, tre anni prima che il mercato toccasse il proprio picco. È possibile, quindi, che anche qualora esistesse oggi una bolla, essa possa continuare a gonfiarsi più a lungo del previsto.
Questo non elimina il rischio di correzioni significative, ma secondo Tognoli la direzione di fondo appare chiara: “ci aspettiamo che i guadagni di produttività dell’IA siano altrettanto trasformativi di quelli della rivoluzione digitale, sostenendo il trend rialzista almeno fino alla seconda metà di questo decennio”.
Un trend strutturale, quindi, che potrebbe ridisegnare i mercati e la produttività globale, pur rimanendo esposto a naturali fasi di volatilità.
